Cultura

«Esultiamo nel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura»

La Redazione
Presepe Vivente
Riflessione sul Natale a firma di Antonella Loffredo e don Emanuele Tupputi, del Movimento dei Cursillos di Cristianità dell'Arcidiocesi
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione sul Natale a firma di Antonella Loffredo e don Emanuele Tupputi, Coordinatrice e Animatore Spirituale del Movimento dei Cursillos di Cristianità dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta e Bisceglie.

«Carissimi,n
1. San Leone Magno, in una delle sue numerose omelie natalizie, così esclama: «Esultiamonnel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura. Perché ènspuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, lanfelicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero dellannostra salvezza, che, promesso, all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato andurare senza fine» (Homilia XXII). Su questa verità fondamentale ritorna più volte sannPaolo nelle sue lettere. Ai Galati, ad esempio, scrive: «Quando venne la pienezza delntempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge…perché ricevessimonl’adozione a figli» (4,4).

2. Partendo da queste due citazioni vogliamo chiedervi un po’ del vostro prezioso temponper riflettere insieme su questo grande giorno che per noi significa la nuova redenzionene rinnova l’alto mistero della nostra salvezza e augurare a tutti un santo Natale dinluce, di gioia, di fraternità e di speranza, un Natale come festa della fede.nIn effetti, se riflettiamo bene, «il Natale è la festa della fede nel Figlio di Dio che si è fattonuomo per ridonare all’uomo la sua dignità filiale, perduta a causa del peccato e dellandisobbedienza. Il Natale è la festa della fede nei cuori che si trasformano in mangiatoianper ricevere Lui, nelle anime che permettono a Dio di far germogliare dal tronco della loronpovertà il virgulto di speranza, di carità e di fede» (Papa Francesco, Discorso alla Curianromana per gli auguri natalizi, 21.12.2017). Il Natale è la festa di un Dio che viene sen- za armi, perché non intende conquistare dall’esterno, bensì guadagnare e trasformarendall’interno. Questo Dio viene a liberarci dalle tenebre e a donarci la luce.

3. Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come lucennelle nostre tenebre. Vuole che ognuno di noi: ricco, povero, lavoratore, disoccupato,ncarcerato, extracomunitario, ammalato, perseguitato a motivo della fede, bambino,ngiovane, anziano, genitore ecc, diveniamo custodi della Sua luce e la irradiamo connfiducia, gioia e speranza. Una speranza che non è semplicemente un desiderio, un auspicio,nnon è ottimismo, ma attesa del compimento del mistero dell’amore di Dio che cinporta a rendere l’impossibile possibile, a trasformare il buio in luce, la disperazione innsperanza, la sfiducia in fiducia in un mondo migliore, più fraterno e più vero.

4. Non abbattiamoci, non buttiamo la spugna, non reagiamo con pessimismo ai varinfallimenti della vita e della società e non riduciamo il Natale sola a una festa di consumismo,ndi cenoni o altro ma in un giorno di grande luce, speranza e fraternità veranattraente e luminosa “che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprirenDio in ogni essere umano” (EG, 92); che sa «suscitare la fede, trasformare il mondonsecondo il disegno di Dio; che non si lascia bloccare da pregiudizi, abitudini, e che sanspogliarsi di ogni mondanità spirituale, dalla paura di aprire le porte e di uscire incontro a tutti, per portare la luce di Cristo» (Papa Francesco, Discorso ad Assisi, 4.11.2013).

5. Ed ora carissimi come i pastori che nella notte della grande Luce vegliavano vi invitiamona guardare in silenzio l’immagine della natività, del pittore francese Arcabas, chenvi abbiamo proposto in questa riflessione, e cogliere mediante questa opera artistica langrandezza del grande mistero dell’incarnazione e della redenzione.nLa “Natività a Betlemme” di Arcabas è tutt’altro che un idilliaco quadretto sul Natale.n2 3nIl dipinto ci parla di una casa provvisoria, con un letto fatto solamente di paglia perndormire. Una paglia che nel suo intreccio richiama la corona di spine che Gesù – Re deingiudei – porterà sul capo sino al Golgota; già in questo segno si mette in stretto legamenl’incarnazione e la redenzione, come spesso la riflessione teologica e le opere sullannatività hanno evidenziato nei secoli. I Vangeli infatti narrano come già nella nascita si celano i segni della passione.

Due sono le fonti di luce: il volto del bambino, che illumina la madre, e la luce dellancandela, che illumina l’uomo che la tiene tra le mani; due sono anche i piani della scenansu cui si stagliano i personaggi. Notte e giorno si incontrano. La notte della Nativitànè illuminata a giorno dalla luce dell’Emmanuele, mentre l’oscurità della strada su cuinsi incammina il personaggio in primo piano, che rappresenta Giuseppe, è rischiaratandalla semplice ma forte luce della candela accesa che porta tra le mani; il suo gestonesprime la necessità di custodirla e ripararla dal vento e della intemperie perché nonnsi spenga.nQuella del dipinto è una luce capace di illuminare in profondità, di rischiarare la stradanche si apre davanti a noi. Il buio alle spalle di Giuseppe non fa paura perché la sua stessanvita è rischiarata da quella luce. Cammina in punta di piedi e nella notte si fa anchenlui personaggio/testimone di luce, tenero e responsabile.

E’ segno di un cristianesimonche non si ferma lì (alla nascita del Figlio di Dio), ma che, a partire da lì, sa assumersi lanresponsabilità dell’evento e incamminarsi nella storia sapendo che essa è già rischiarata e salvata da Dio.nÈ segno di un cristianesimo che si fa compagno di viaggio dell’uomo di ogni temponper annunciare con gioia che la nostra credibilità di uomini e donne di fede partendalla mangiatoia che ospita un bambino inerme avvolto in fasce. In questa scena in- contriamo la tenerezza e l’amore di un Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostrendebolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. Un Dio che si fa prossimo, mangianil pane degli uomini e ci invita a intraprendere una nuova via che ci sprona a non guardareni nostri ombelichi, ma aprirci ai Suoi orizzonti che sono infinitamente carichi dinmisericordia e di verità e cosi giungere alla grotta di Betlemme con uno spirito ed unnanimo mite e sincero.

6. Carissimi, come amava ricordare un profeta del nostro tempo don Tonino Bellonfissiamo nella nostra mente i tre simboli del Natale: il Bambino inerme, le fasce e lanmangiatoia.nPerché il Bambino inerme che dorme sulla paglia, è “simbolo di chi non può vantare alcunanprestazione. Di chi può solo mostrare, piangendo la propria indigenza” e ci stimolana comprende che “Dio ha deciso di spiazzare tutti, manifestando la sua gloria nei segnindella non-forza, del non-potere, della non-violenza”. Questo Bambino inerme, pertanto,nci provochi cortocircuiti alla spreco che facciamo nella vita, scuota la nostra sonnolentantranquillità e ci aiuti a capire che se vogliamo vedere “la Sua grande luce” ed esserencustodi e testimoni della “Luce vera” dobbiamo farci piccoli e partire dagli ultimi.nLe fasce, invece, sono «simbolo del nascondimento di Dio. Velano la sua presenza, perchénla sua luce non accechi i nostri occhi. Le stesse saranno ritrovate nel sepolcro, per terra,nquando lui, il Signore avrà sconfitto la morte e dichiarato abolite tutte le croci».

La mangiatoia, infine, è «il simbolo della povertà di tutti i tempi. Vertice, insieme alla croce, della carriera rovesciata di Dio, che non trova posto quaggiù. È inutile cercarlo nei prestigiosinpalazzi del potere dove si decidono le sorti dell’umanità: non è lì. È vicino di tenda dei sen- za-casa, dei senza-patria, di tutti coloro che la nostra durezza di cuore classifica come intrusi,nestranei abusivi.

La mangiatoia, però, è anche i simbolo del nostro rifiuto. Nella Messa delngiorno di Natale ascolteremo quella frase terribile che è l’epigrafe della nostra non accoglienza:n“È venuto nella sua casa, ma i suoi non lo hanno accolto” (cfr. Gv 1,11). La greppia dinBetlemme interpella, in ultima analisi la nostra libertà. Gesù non compie mai violazione dindomicilio. Bussa e chiede ospitalità in punta di piedi. Possiamo chiudergli la porta in faccia.nPossiamo, cioè, condannarlo alla mangiatoia: che è un atteggiamento gravissimo nei confron- ti di Dio. Sì, è molto meno grave condannare alla croce che condannare alla mangiatoia. Se,nperò, gli apriremo con cordialità la nostra casa e non rifiuteremo la sua inquietante presenza,nha da offrirci qualcosa di straordinario: il senso della vita, il gusto dell’essenziale, il saporendelle cose semplici, la gioia del servizio, lo stupore della vera libertà, la voglia dell’impegno.nLui solo può restituire, al nostro cuore indurito dalle amarezze e dalle delusioni, rigogli dinsperanza» (don Tonino Bello, Non c’è fedeltà senza rischio, pp. 110-113, San Paolo 2013).

7. Carissimi, dopo aver letto queste righe, per un attimo ancora fermiamoci e osserviamonnel profondo del nostro cuore, guardiamo nell’intimo di noi stessi, e domandiamoci: abbiamonun cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Ilnnostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’ha lasciato soffocare dalle cose,nche finiscono per atrofizzarlo? Dio ci attende nella mangiatoia della vita avvolto in fasce,nci cerca: che cosa vogliamo fare: rispondiamo? Oppure preferiamo continuare a dormire?nCrediamo che Dio ci attende o per noi questa verità sono soltanto “parole”?

8. Concludendo vi diciamo con il cuore Buon Natale! «Che questo Natale ci apra gli occhinper abbandonare il superfluo, il falso, il malizioso e il finto, e per vedere l’essenziale, il vero,nil buono e l’autentico. – Che questo Natale sia una autentica festa della fede tenendo ben anmente che – il Natale ci ricorda però che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi;nuna fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga ènuna fede sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che devenessere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere sconvolta. In realtà,nuna fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede, che potrebbe realizzarsinquando arriverà a coinvolgere il cuore, l’anima, lo spirito e tutto il nostro essere, quando sinpermette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore, quando permettiamo allanstella di Betlemme di guidarci verso il luogo dove giace il Figlio di Dio, non tra i re e il lusso,nma tra i poveri e gli umili.nAngelo Silesio, nel suo Il Pellegrino cherubico, scrisse: “Dipende solo da te: Ah, potesse il tuoncuore diventare una mangiatoia!

Dio nascerebbe bambino di nuovo sulla terra”»(Papa Francesco,nDiscorso alla Curia romana per gli auguri natalizi, 21.12.2017).nAuguri di cuore a tutti e a ciascuno! Buon Natale!»

lunedì 25 Dicembre 2017

(modifica il 29 Luglio 2022, 20:46)

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