Cronaca

Gianni Naglieri presenta il libro L’albero di Niceta alle Vecchie Segherie Mastrototaro. Il video

La Redazione
Gianni Naglieri presenta il libro L’albero di Niceta
Dialogo con la prof. Rossella Naglieri, don Matteo Losapio e il prof. Gaetano Piepoli
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Domenica 19 dicembre alle 18,00 alle Vecchie Segherie Mastrototaro Gianni Naglieri presenta il libro L’albero di Niceta in un dialogo con la prof. Rossella Naglieri, don Matteo Losapio e il prof. Gaetano Piepoli.

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Ingresso libero, prenotazione consigliata https://forms.gle/vJL9vkradUskXhLP7 . 

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Un romanzo storico circolare che esalta il valore simbolico cristiano della pianta dell'olivo attraverso una narrazione che parte dall'esodo dei monaci basiliani e bizantini dalle terre di oriente per portare in salvo i simboli della cristianità messi a rischio dalla violenza dell'editto iconoclasta e che giunge fino ai nostri giorni.

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INTRODUZIONE di Gianni Naglieri

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Accadde vari anni fa di conoscere in un paese del Salento, nei pressi di Uggiano La Chiesa, un produttore olivicolo anziano con un nome inconsueto, Niceta. Mi spiegò subito l’origine greca, di tradizione bizantina, Νικητας (Niketas) ed avendo appreso il mio cognome, mi erudì subito sul collegamento esistente tanto nell’origine greca quanto della stretta attinenza con il campo dell’olio di oliva, settore che mi vedeva protagonista, con grande entusiasmo, da Ispettore Agecontrol. Mi parlò dei frantoi salentini, quelli ipogei, e dei trappetari, detti anche fattoiani, quindi, del ruolo più prestigioso, quello del NACHIRO o nocchiero del trappeto, termine derivante dal greco “naùkleros” (padrone della nave), mentre nel vernacolo salentino “nachiru” era colui che dava le direttive ai frantoiani e in più in generale “amministrava “il frantoio” o trappitu. Secondo Niceta il Nachiru, al pari del Nocchiero (chi governa una nave) lasciava la casa, partiva per lavorare al frantoio, si assentava da casa per diversi mesi, proprio come per imbarcarsi su di una nave.

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Era un lavoro duro ed impegnativo. Si scendeva in frantoio da nocchieri o da marinari a metà Ottobre per riemergere ad aprile o maggio con l’unica eccezione dell’8 dicembre, giorno dedicato all’Immacolata Concezione, del Natale e del Capodanno.Niceta, nella sua semplicità, diceva che suo nonno fu un bravo Nachiro. Egli andava principalmente per mare, ma che nei mesi delle tempeste e fino ad Aprile, si dedicava alla gestione di un frantoio oleario ipogeo dell’agro vicino. L’abilità maggiore consisteva nell’operazione del taglio dell’olio di oliva con la purificazione, o meglio, la separazione dall’ “acqua de sentina” (acque di vegetazione), inoltre, aggiungeva, che il suo carattere deciso lo portava, al pari delle poche ma decise manovre, dirette a salvare la barca dalla tempesta e dalla forza delle onde del mare a contenere e gestire con facilità gli scalmanati clienti proprietari delle olive da frangere.

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Come per Uggiano La Chiesa, in tutta la Puglia operarono oltre 1000 antichi trappeti, le cui tracce sono riscontrabili in più parti. Alcuni di questi, sicuramente i primi, quelli in Terra d’Otranto, nacquero dalla “riconversione” degli antichissimi granai di epoca messapica, così come di cripte risalenti al periodo bizantino. E fu proprio grazie ai bizantini che gli abitanti di queste terre ebbero l’intuizione di abbandonare la coltivazione del grano e di dedicarsi all’olivicoltura.

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Grazie a Niceta, in poco tempo scoprii, quindi, che nel mio passato poteva coesistere tanto la terra quanto il mare e che la linea di separazione tra questi elementi era dovuta al tempo e all’amore per le cose che appassionano.

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Terminato questo preambolo culturale, dovendo compilare l’attività di censimento e controllo dell’azienda olivicola, non essendoci uffici e neanche un bar di paese aperto, fui invitato da Niceta in casa, ancor prima di sopralluogare i terreni interessati, ove mi avrebbe messo a disposizione una comoda seduta ed un piano di appoggio per l’estensione del lavoro, confermando quel protocollo di ospitalità tradizionale non scritto, ma, praticato da sempre, tipico delle terre del Sud, aperte e disponibili a condividere la povertà e la naturalezza delle cose semplici, anche se storicamente e duramente provate da ogni genere di difficoltà e carestia.

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Entrato, mi fecero accomodare nella sala da pranzo.

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La moglie, una nonnina minuta vestita di nero, guardandomi un pò sofferente dal caldo mi chiese: “Figghiu la vu na frisa?”

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Accettai di buon grado, era una Frisa di Orzo bagnata in acqua e condita con olio di oliva, pomodoro, sale e origano. Mentre gustavo quel piatto ricco di odori e sapori sotto lo sguardo compiaciuto della coppia anziana, sollevando lo sguardo mi accorsi che sulle pareti erano affisse tante fotografie, molte delle quali ritraevano la stessa persona. Mi spiegarono che si trattava del figlio unico scomparso all’età di 13 anni a causa di una malattia incurabile. Con la sua immagine c’erano quelle di altri defunti. Niceta mi parlò della sua storia, dell’immigrazione in Germania, del treno preso a Lecce con direzione Schauffausen, del lavoro duro nei cantieri edili prima ed in fabbrica dopo, del suo ritorno, del suo matrimonio e di quel figlio tanto amato avuto in tarda età, la cui immagine era riprodotta in ogni dove potesse ricordarlo, tanto nella casa quanto nel suo oliveto secolare.

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Si perchè, mi condusse sui terreni posti a pochi chilometri dall’abitazione e tra le tante maestose piante di olivo esistenti mi presentò quella che portava il nome del figlio, avendola trasformata in uno scrigno prezioso in cui custodì, in un incavo del poderoso fusto in legno caratterizzato da due avvitamenti, un immagine del ragazzo ed un rosario.

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Sentii il saluto pronunciato da Niceta all’albero….”Ciao Giovanni”.

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Non capii subito, pensai che si fosse rivolto a me, ma, non appena fu chiaro quell’equivoco, Niceta mi indicò l’Albero e disse: “Vedi, è’ lui Giovanni! Vivrà per sempre, insieme all’albero. Con mia moglie abbiamo deciso di affidarlo all’eternità dell’olivo. Lui è forte e non morirà mai”.

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Dopo questo episodio, nella mia testa rimase fissa per vario tempo l’immagine del ragazzo deceduto e dell’albero di olivo che lo teneva in vita simbolicamente e fisicamente ai suoi cari, fino a quando, nella piana degli olivi monumentali, mi imbattetti in agro di Ostuni, in un albero di olivo plurisecolare dalle fattezze singolari, molto simili a quelle di un leone adulto maschio, dalla possente criniera, accovacciato sule zampe posteriori. In quel momento, guardandomi attorno, ricordandomi ed avendo come esempio l’olivo di Niceta, provai ad immaginare quante umane storie potevano essere racchiuse in quei fantastici corpi lignei viventi, quanti amori potevano essere incisi per l’eternità nelle rugose venature della corteccia, fino all’essenza mistica della volontà divina di contenere nel profondo animo di quegli esseri immortali la nostra comune fede umana.

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Quel giovane affidato all’eternità di una forza simbolica, frutto di un amore intenso e raro, provato da storie tristi, dall’abbandono delle proprie terre alla ricerca della fortuna da immigrato in Germania, harappresentato la forza e la volontà caparbia di ricercare e dare un senso a quei valori che messi insieme tracciano una linea perfetta, esattamente come quella che si venne a creare tra Niceta ed il Nachiro, non in forma casuale, ma come se nel vagare nel proprio spazio temporale, un negativo avesse trovato il suo positivo vera, dando così un senso logico ad ogni cosa, ivi compresa alla fede profonda di ogni essere umano, alla speranza e alla forza dell’amore nei riguardi di chi e di cosa ci apparterrà per sempre.

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Vi auguro un emozionante e felice lettura.

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domenica 19 Dicembre 2021

(modifica il 27 Luglio 2022, 18:27)

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