Cronaca

LE STORIE E LE PAROLE​. Ubite, un ragazzo nato dalla parte sbagliata del pianeta​​

Giulio Di Luzio
Ragazzi nati dalla parte sbagliata del pianeta​​
Nelle periferie congolesi, tra villaggi e ruderi, non esistono cimiteri
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Sesto appuntamento con la rubrica domenicale a cura del Prof. Giulio Di Luzio sull'integrazione di stranieri nel nostro territorio. Racconti di storie di vita vissuta tra le nostre strade, nelle nostre case. Un segno tangibile, senza inutile retorica, del cambiamento dei tempi che dovrebbe portare anche ad un cambiamento degli uomini. E' bene precisare che questa collaborazione è a titolo completamente gratuito, a testimonianza della passione del prof. Di Luzio per questi temi così delicati e importanti.

Il ventiseienne Ubite è una mia vecchia conoscenza. Decido di porgli alcune domande sulla Republica Democratica del Congo, da cui è scappato per giungere in Italia e poi essere accolto da una famiglia biscegliese. Decentrare il nostro punto di vista di occidentali, dicono gli psicologi dell’integrazione, per capire il tipo di vita nel continente africano. Ci provo ma essere nati dalla parte sbagliata del pianeta spesso è la precondizione di cui non teniamo conto, quando ci troviamo di fronte ai tanti giovani africani presenti sul nostro territorio. Questo viaggio tra le loro storie presenta sempre aspetti per noi inconcepibili, che ci spiazzano e ci mortificano, mettendoci di fronte alla realtà africana. Pensare per esempio che nelle periferie congolesi, tra villaggi e ruderi, non esistono cimiteri è per noi incomprensibile, abituati come siamo a onorare i nostri cari defunti.

“Seppelliamo i morti in spazi senza recinzione, in aperta campagna senza lapidi e al massimo una croce sopra –precisa- ma può succedere che dopo qualche giorno troviamo i resti dei nostri parenti fuori dalla tomba!”. I più poveri infatti esumano nottetempo i corpi, per rubare la cassa da morto e venderla per pochi soldi! Ubite fa un sorriso amaro, invitandomi a visitare i villaggi congolesi, dove si scioglierebbero le nostre certezze di minoranza sazia del pianeta. Poi racconta la storia di una ragazzina adolescente violentata da un sessantenne (che in Congo è considerato un vecchio privilegiato, per aver raggiunto una età avanzata, visto che la media di vita è 47 anni), che se l’è cavata, comprandosela in cambio di 150,00 euro, una pecora, una cassa di birre e un po’ di vestiti destinati alla famiglia della poverina. Tutto qui!

Questo succede anche nell’hinterland della capitale, precisa Ubite, senza parlare degli sconfinati villaggi, in cui la legge non esiste e le diverse etnie sono soggette a una sottocultura tribale da medioevo. Quindi mi mostra le foto delle miniere in cui lavorano migliaia di bambini per la estrazione di cobalto, litio, coltan, indispensabili per la high-tec occidentale e le automobili elettriche di ultima generazione, che impazzano in Europa. I bambini?, gli chiedo. Ne muoiono a decine sotto le miniere, in cui i crolli sono frequenti e le condizioni di sicurezza sul lavoro sono semplicemente inesistenti. Avere un bimbo morto in miniera, confessa, è normale in ogni famiglia dei villaggi congolesi, che si trovano nelle aree di estrazione dei minerali. Il costo di ribellarsi? Sparisci dalla faccia della terra! Cosa resta nelle famiglie, che lavorano in questo settore estrattivo? Qualche dollaro. E pensare che in Congo è presente in natura il 50% del cobalto del mondo! I temi della geopolitica irrompono nel nostro dialogo, per cercare una spiegazione a questa triste realtà, che consente gli standard di vita per noi europei. Il nostro ruolo? Smontare gli stereotipi presenti in tanti biscegliesi, risponde prontamente. Cioè? La presunzione che le nostre vite agiate siano stabilite da un diritto divino e universale, dovrebbe farci riflettere su quelle di chi non è stato investito da questa prerogativa: è forse questo il punto di partenza per abbattere il nostro pensiero etnocentrico di suprematismo bianco.

Una vecchia storia, dirà qualcuno, ma sempre attuale, un nodo che puntualmente  viene eluso dai talk-show e dal giornalismo venato di razzismo. Abbiamo tanta strada da fare noi, gli dico. E tante scuse da porvi come bianchi, concludo!

SCHEDA BIO-BIBLIOGRAFICA
Giulio Di Luzio. Attivista antimilitarista e obiettore di coscienza, dagli anni Novanta inizia a scrivere su "Bergamo-Oggi" durante una supplenza scolastica al nord. Ha lavorato per "il manifesto" e  "Liberazione". Ha collaborato ad Antenna Sud e alle edizioni pugliesi de "Il Corriere del Mezzogiorno" e "la Repubblica".  Ha già pubblicato sette saggi e cinque romanzi, che l’hanno portato alle trasmissioni Rai: "Chi l’ha visto?", "Rai News 24", "Radio 3 Farheneit", "Racconti di vita".
– I fantasmi dell’Enichem (Baldini Castoldi Dalai -2003)
– A un passo dal sogno (Besa – 2006)
– Il disubbidiente (Mursia – 2008)
– Brutti, sporchi e cattivi (Ediesse – 2011)
– Clandestini – (Ediesse – 2013)
– Non si fitta agli extracomunitari (Editori Internazionali Riuniti – 2014)
– La fabbrica della felicità (Stampa Alternativa – 2016)
– Fimmene (Besa – 2017)
– Tuccata (Besa – 2018)
– La libertà negata (Promosaik – 2021) Tradotto in tedesco e francese
– Apartheid all'italiana (Promosaik – 2021) Tradotto in tedesco.
– La nobile gioventù (Promosaik – 2021).
Attualmente si occupa di politica internazionale in alcuni Gruppi politici della Federazione Russa.

domenica 27 Marzo 2022

(modifica il 27 Luglio 2022, 14:24)

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