Carver e Bukowski: il quotidiano tra incanto e disillusione

Luciana De Palma
Un confronto tra i due autori americani, interpreti della silente alienazione che corrode l'esistenza dell'uomo contemporaneo. Di Federico Lotito
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Leggere Raymond Carver e Charles Bukowski è un’esperienza che ti fa sempre riflettere. È come guardare dei quadri di Hopper, immedesimandosi nei personaggi, è come essere affacciati ad una finestra e guardare la vita di un quartiere popolare, è come essere in contemplazione di ogni piccolo evento che accade sotto i nostri occhi, è come fermare l’attenzione sui particolari che di solito passano inosservati, perché la vita dei personaggi di Carver e Bukowski è fatta di quotidianità, di cose, gesti semplici ed estremi, elementari, in apparenza ovvii, banali, tutti con un denominatore comune di dolore e di malinconia.

Un confronto tra i due autori americani evidenzia i molti aspetti che li legano, sia dal lato personale che dal lato letterario. Entrambi raggiungono un’eccellenza di scrittura nel racconto breve e nella poesia ed entrambi riescono a rappresentare con grande forza stilistica la frammentazione della quotidianità e dell’esistenza umana.

Raymond Carver (1938-1988) e Charles Bukowski (1920-1994) sono due autori contemporanei che hanno compiuto un percorso artistico, stilistico e critico del tutto personale. Condividono, al di là delle inevitabili differenze che li separano, una medesima visione della vita: cinico disincanto nei confronti della società, approccio simile nei confronti della letteratura come indefessa ricerca di una fuga esistenziale.

Con un pizzico di sdegno, Carver e Bukowski rifiutano le etichette che venivano loro assegnate, il tentativo da parte della critica di inquadrarli all’interno di un determinato movimento letterario. Carver ha sempre dichiarato di non sentirsi né un minimalista né un post-modernista, pur riconoscendo in Hemingway una delle sue influenze principali. Carver dimostra, attraverso i suoi racconti, una progressiva presa di coscienza del percorso creativo e di scrittura che egli considera un costante processo di rielaborazione, i racconti di “Will You Please Be Quiet, Please?” sono diversi da quelli contenuti in “Cathedral” in questi ultimi, infatti, la rielaborazione stilistica raggiunge un livello unico. Se poi si considera che solo nel 2009 sono usciti in tutto il mondo, con il titolo “Beginners”, i suoi racconti non modificati dal lavoro di editing e di riscrittura dell’editore si comprende quanto l’interpretazione degli scritti di Carver sia ancora oggi insufficiente e soprattutto quanto definirlo minimalista o post-modernista sia riduttivo.

Bukowski, invece, è stato spesso associato al movimento beat da cui, però, cercò sempre di distanziarsi, per quello che riguardava sia lo stile, che la sua personale visione della vita, incarnando ben presto un unicum nel panorama letterario americano, spesso inavvicinabile.

Carver e Bukowski preferirono cimentarsi con il racconto breve e la poesia. Carver non scrisse mai un vero e proprio romanzo e si produsse sempre in racconti brevi e poesie; mentre, scorrendo la bibliografia di Bukowski, si nota una varietà di generi trattati, è ricca di poesie e i diversi romanzi si compongono di capitoli che il più delle volte non erano altro che storie brevi pubblicate su qualche rivista, tenuti insieme dalla soggettività del protagonista o dell’autore medesimo.

Raymond Carver

La parcellizzazione del reale, la frammentazione della quotidianità e dell’esistenza umana, che sono indagate nel loro scorrere silenzioso e autonomo, senza la pretesa di inquadrare una storia dall’inizio alla fine, senza la pretesa di indicare la via, la meta o il destino dell’esistenza, avvicina i due autori a livello stilistico e tematico. Guardano, descrivono e denunciano, quasi usando un teleobiettivo, la reiterazioni di mondi, situazioni e personaggi che sono sempre uguali a se stessi e non sembrano riuscire a riscattarsi mai.

Si tratta di micro realtà conchiuse, finite, in sé autarchiche e senza un domani. Ogni capitolo dei romanzi di Bukowski, ogni racconto di Carver e ogni loro poesia costruisce e riproduce un universo esistenziale del tutto autonomo, indipendente e autosufficiente, popolato da personaggi fragili, disillusi, rabbiosi e tuttavia apatici, dei quali gli autori amano smascherare le debolezze al di là della quiete apparente nella quale sono immersi. Ogni racconto di Carver e di Bukowski mette in scena una disgregazione del reale che si manifesta come cinica critica alla società moderna e con la consapevole disillusione di essere “nulla” (il tema della morte e del nulla ritornano spesso nelle poesie di entrambi).

La superficie del racconto è popolata nelle opere di entrambi gli scrittori, da nevrotici, alcolisti, persone incapaci di comunicare ma bisognose di essere amate. Inoltre il metodo narrativo che Carver e Bukowski adottano è frammentare il quotidiano per indagarlo nelle sue micro-situazioni familiari o sociali, rappresentando la vita come una lenta e inesorabile deriva. Anche i temi portanti della narrativa sono per entrambi i medesimi: alcolismo, crisi relazionale, lutto, emarginazione sociale. Essi conducono la narrazione verso un destino sconosciuto e tuttavia scontato in cui la crisi del soggetto nella società contemporanea è protagonista assoluta.

Sebbene le storie narrate da Carver e Bukowski siano diverse tra loro, circoscrivono dall’interno una realtà che non pare modificabile, tantomeno migliorabile, ma solo accettabile. Le situazioni “normali” sono estremamente cupe, proprio perché disperate, senza futuro.

Charles Bukowski

Una differenza letteraria tra i due autori è che Bukowski scrive gran parte dei suoi testi in prima persona, individuando nella scrittura una via di uscita dalla quotidianità, sia per il personaggio che per l’autore; essa costituisce il trait-d’union tra il romanzo e la realtà, figurando il potenziale ultimo riscatto.

All’opposto, Carver, pur scrivendo alcuni racconti in prima persona, predilige la terza persona; in ogni caso l’autore descrive mondi o situazioni conchiuse, che esistono esclusivamente come realtà narrative e narrate. Manca un’ultima possibile redenzione per lo scrittore: il destino (positivo o negativo) dei personaggi di cui parla è del tutto interno alla narrazione e non si eleva mai a possibile via d’uscita. Per Carver la scrittura è un processo, non un fine.

Questa, indubbiamente, è la più grande differenza letteraria e forse esistenziale tra i due autori, la cui capacità di descrivere con occhio lucido e disincantato l’inesorabile destino di chi è costretto a vivere una cupa quotidianità è, ad oggi, insuperata.

Infine un’ultima differenza tra la scrittura dei due grandi autori è che quella di Carver risulta più ponderata, meditata e stilisticamente ricercata perché l’autore concepiva le sue opere attraverso una lenta gestazione ed un processo di riscrittura che talvolta richiedeva settimane o mesi.

Quella di Bukowski appare più aggressiva, urlata: lo scrittore faceva ricorso all’uso del carattere maiuscolo per trasmettere più forza espressiva nei racconti o in interi romanzi scritti in poche settimane, senza più la volontà o la necessità di ritornarvi.

E allora, forse, una definizione ultima per questi due autori è possibile: essi sono i grandi interpreti della silente alienazione che corrode l’esistenza dell’uomo contemporaneo, nonostante la lotta che talvolta cerca di intraprendere da protagonista o comprimario.

venerdì 9 Marzo 2018

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